
Auguri Giancarlo: ce l'hai fatta
Giancarlo Siani, giornalista ucciso in un agguato sotto casa perchè dava fastidio con i suoi articoli ai camorristi di Torre Annunziata, ha ricevuto ieri la tessera di giornalista professionista, consegnata alla famiglia dall'Ordine dei giornalisti della Campania.
Già perchè Giancarlo è morto da pubblicista e da “abusivo”, proprio nel momento in cui stava per fare il “gran salto” che tutti i giornalisti che fanno la gavetta e sudano il mestiere, sognano di fare: essere assunti e diventare professionisti.
Io ho conosciuto Giancarlo, e la consegna del tesserino di professionista alla sua memoria mi riporta indietro a quando avevo 20 anni e volevo fare il giornalista. Ci provavo in tutti i modi, non ero figlio né di giornalista né di un politico, e quindi l'impresa era più ardua. Ma non mi davo per vinto. Leggevo ogni giorno Il Mattino e il Corriere della Sera, in maniera maniacale, anche i necrologi e gli annunci pubblicitari. I soldi per i giornali li sottraevo a quelli che mi davano i genitori per la miscela nella Vespa, e per questo spesso rimanevo a piedi. E proprio tra quegli annunci, con un carattere piccolissimo, un giorno vedo un trafiletto: “L'Università popolare di Napoli organizza un corso di giornalismo gratuito, presso il Liceo Umberto I. Per informazioni telefonare...”. Telefonare? Il giorno dopo, di buon mattino, Carinaro-stazione Aversa a piedi, treno fino a Napoli Centrale, a piedi fino al Liceo Umberto. Alle 11 ero fuori la scuola ad aspettare che si facessero le 16, orario indicato per l'apertura della segreteria del Corso di Giornalismo. Il corso era organizzato da Amato Lamberti, ma, di fatto, lo teneva un ragazzo simpatico, più grande di me, si chiamava Giancarlo. Per me era Giancarlo e basta.
Giancarlo mi teneva d'occhio. Ero il più piccolo dei partecipanti al corso, gli altri erano per la maggior parte anziani. Una volta pioveva, il corso era finito, e lui vide avviarmi sempre a piedi: “Ma dove vai”. Alla stazione, risposi. “Ma vai nella direzione opposta, la metropolitana e di là”. “No io vado a piedi alla stazione centrale”. Mi sorrise e mi disse: “Sali ti do un passaggio”. Salì nella sua macchina, in quella macchina che ora è divenuta un cimelio. Da quel giorno, anche se lui doveva andare al Vomero, perdeva un'ora per me e mi accompagnava alla stazione. E mi sopportava. Perchè in quel tragitto io ero una mitraglia: “e come si diventa giornalista, e come si scrive un articolo, e come hai fatto a scrivere per Il Mattino, e perchè hai scritto quella cosa in quel pezzo...”. Lui mi raccontava che era “abusivo” a Il Mattino, fino a poco tempo fa alla redazione di Castellamare di Stabia, ma da alcuni mesi lo avevano trasferito a Napoli e sarebbe stato assunto di lì a breve. Sarebbe diventato poi professionista e giornalista, anche giuridicamente, a tutti gli effetti. Il sogno delle sua vita. E della mia che, invece, iniziavo a fare l'”abusivo” alla redazione di Caserta de Il Mattino, portavo lì un articolo scritto a macchina su notizie minori e aspettavo a volte mesi prima che venisse pubblicato. Ma Giancarlo mi diceva di non scoraggiarmi e io guardandolo e ascoltandolo, la sera, in auto, avrei voluto che quel percorso dal Liceo Umberto alla stazione non finisse mai. Un maledettissimo giorno, come sempre, compro Il Mattino e la foto di Giancarlo è di spalla in prima pagina, associata, nel titolo, alla parola “UCCISO”.
Da allora ho tenuto sempre dentro di me quei ricordi, su Giancarlo non ho mai scritto nulla. Al dolore si reagisce in maniera diversa, c'è chi parla tanto e chi non ha più niente da dire. Non so perchè la notizia della consegna del tesserino di professionista a Giancarlo ora mi ha spinto a ricordare e a scrivere. Non lo so. Ma auguri Giancarlo: ce l'hai fatta.