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DIARIO DI VIAGGIO: I posti vuoti e l'impossibile prova diabolica

Siamo quasi nel 2024, l'intelligenza artificiale galoppa e c'è il rischio che alla razza umana resti in eredità solo la stupidità. Siamo ormai nell'era del Metaverso avanzato. Eppure c'è un problema che, dalla nascita del primo uomo sulla Terra, è sempre rimasto immutato e mai nessuno è riuscito a risolvere. Sul treno questo dramma esistenziale può manifestarsi all'improvviso, colpire chiunque, creare disagio e scompiglio. E chi lo provoca non può essere imputato di nulla. Perchè è difficile, se non impossibile, trovare le prove materiali che riescano ad inchiodare, moralmente e giuridicamente, il responsabile di questa azione subdola e intollerabile.

Anche io che lavoro con le parole faccio fatica a trovare le espressioni giuste per definirla. Quindi mi comporto da cronista, vi racconto come sono andate le cose. Voi continuate a leggere e, quando avete pensato di aver compreso il problema, rileggete dall'inizio e verificate se ho ragione o no.

Tutto si palesa in un giorno in cui il “mio” Frecciargento” è particolarmente affollato. Mi avvicino al posto prenotato e vedo che di fronte a me è seduto un signore che, ad occhio e croce, sarà alto un paio di metri e le cui gambe, smisurate, occupano tutto lo spazio riservato al mio posto e agli altri tre contigui. Devo rassegnarmi a viaggiare rannicchiato. Ma no, un momento, la memoria fotografica mi segnala che, pochi secondi prima, sono passato davanti al primo posto della carrozza ed era libero. Mi giro, controllo le teste che sporgono dai sediolini, ed ho la conferma. Torno indietro mi siedo al posto libero. Mi rilasso, non senza una piccola soddisfazione per la insperata comodità ritrovata.

Ad un certo punto, improvvisamente, vengo investito da un olezzo insopportabile, non si riesce quasi a respirare, sono costretto a coprire naso e bocca con il bordo della sciarpa. Ci vogliono una decina di minuti prima che il “gas” si diradi, la mia mente riacquisti lucidità. Nel frattempo identifico il tipo di miasma, non può che provenire dal Wc alle mie spalle. Ma, recuperando via via le facoltà intellettive, mi rendo conto che è impossibile. Il bagno è chiuso, c'è un'altra porta tra me e il Wc. A questo punto analizzo lo spazio che mi circonda. Noto con sorpresa che anche i due posti affianco a me sono vuoti. E sono vuoti anche gli altri due situati alla destra dei due davanti a me. E dei due avanti a me uno solo è occupato. Ma come è possibile che in un treno pieno, solo qui tutte le poltroncine sono libere? Non faccio in tempo ad azzardare una risposta che mi investe una seconda ventata di “gas”, insopportabile come la prima. Ma questa volta ho distinto un rumore inconfondibile che a quella ventata di gas si associa. Così come il lampo si associa al tuono. Orrore è lui, il signore davanti a me, è il lui il responsabile. Lui la fonte di siffatto inquinamento che affonda le sue radici nella storia dell'uomo. Ma come faccio a dirglielo? Come faccio a denunciare la cosa al capotreno senza addurre prove? Come si fa a provare una cosa del genere, a mettere in connessione causa ed effetto? Si può estrarre il Dna da un elemento così volatile per compararlo con quello del sospettato? Nemmeno i Ris dei carabinieri e la Scientifica della Polizia ci riuscirebbero. Il “reato” è immateriale, mi viene in mente il mio professore di penale che ripeteva: “Senza cadavere non c'è omicidio”. Ma in questo caso è chiaro, solo lui resiste, solo il responsabile dell'emissione devastante può tollerarla. Ma stiamo parlando di indizi, di qui ad avere una prova certa ce ne passa. Faccio appello alle mie reminiscenze universitarie, no, non c'è inversione dell'onere della prova in questi casi. Non ho scelta. Sono di fronte a quella che in diritto viene definita l'impossibile prova diabolica. E il criminale, nel frattempo, continua ad emanare effluvi. Altro che transizione ecologica, non ci hanno fatto nemmeno un progetto Pnrr su questo. Mi alzo, mi allontano a passo veloce verso la fine del vagone, sotto gli sguardi sornioni degli altri viaggiatori che sembrano dire: “E si, dovevi arrivare tu, se no mica stavamo stipati l'uno sull'altro senza scampo”. Già perchè il “Frecciargento” è ermeticamente sigillato e non c'è nulla che possa impedire alla nube tossica di disperdersi. Tocca resistere, nel convoglio mezzo pieno e mezzo vuoto, ammassati uno sull'altro ma lontano il più possibile dall'Area 51, il luogo in cui l'alieno, impunito, continua a fare terra bruciata intorno a sè. A me, incrociando gli sguardi con gli altri compagni di viaggio-sventura, viene in mente una frase di una splendida poesia della scrittrice brasiliana Martha Meideros: "Vivere richiede uno sforzo senz'altro maggiore del semplice respirare".


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Un treno trasporta varia umanità, me compreso, che quasi quotidianamente copro il tragitto Caserta-Benevento-Caserta. Due volte al giorno, solo 45 minuti con l'Alta velocità in genere (ma tra ritardi, rallentamenti, stop forzati, i tempi non sono mai tali). Questo Diario di viaggio vuole raccontare di tale umanità. E il tutto è lasciato al caso perchè, ogni volta, ho un numero di prenotazione che mi assegna questo o quel compagno di viaggio. In fondo un treno e solo un mezzo per un viaggio nel viaggio: la vita.