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Il reddito di cittadinanza che crea lavoro nero da Il Corriere della Sera


Il reddito di cittadinanza ha fatto schizzare il alto il lavoro nero e prodotto disoccupazione a fronte di un esborso enorme di soldi pubblici da parte dello stato. Una bella inchiesta del Corriere della Sera di oggi dimostra come uno strumento che per se poteva essere valido a beneficio di chi ha bisogno si è tradotto in un flop. Perchè non ci sono stati controlli preventivi e moltissimi che hanno ricevuto il reddito, anzichè trovare lavoro regolare, hanno continuato a lavorare al nero o peggio hanno iniziato da quel momento a tuffarsi nel sommerso, per non perdere la condizione fasulla di disoccupati.

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Reddito di cittadinanza, il flop dei sussidi che alimenta il lavoro nero

di Goffredo Buccini e Federico Fubini 27 set 2020



Febbraio, Reggio Calabria. L’uomo che si presenta all’Istituto clinico De Blasi è elegante, professionale: cravatta e completo grigio, garbato nei modi. E con garbo chiede: «Lei ha bisogno di aiuto?». «Mi dica, in che senso?», risponde il direttore, Eduardo Lamberti.

«Sono disposto a fare qualunque cosa: piccola ragioneria, factotum, consegne alle Poste. Quanto può darmi?».

«Dovrebbe parlare con l’ufficio amministrativo».

«Sarò sincero: prendo il reddito di cittadinanza. Ma vorrei mantenerlo dando a lei la possibilità di usufruire dei miei servigi con un costo minimo e senza vincolo di lavoro».

«Cioè…».

«Ha capito, in nero».

«Spiacente, qui fatturiamo tutto».

Oggi nella provincia di Reggio Calabria un abitante su dieci vive in una famiglia che percepisce assegni da reddito di cittadinanza. Per alcuni, l’assegno è diventato un doppio atout. Non si prende il reddito perché si è senza lavoro, ma si cerca lavoro (nero) perché si prende il reddito: e dunque ci si può mettere sul mercato a metà prezzo. Con un ulteriore «vantaggio» per gli imprenditori disinvolti, come spiega Lamberti (che di offerte simili racconta di averne «rifiutate a decine»): «Per i disonesti è una manna, uno può mandare via quando vuole il dipendente privo di tutela normativa. Diventa un… investimento imprenditoriale il reddito di cittadinanza. Ma secondo me è una gigantesca istigazione a delinquere», conclude il settantenne medico calabrese, un tempo assessore alla polizia locale nella giunta di Italo Falcomatà, il sindaco-mito della «primavera di Reggio». Eppure, in Italia non manca chi sarebbe felice di lavorare con un bel contratto in regola.

Dall’inizio del lockdown a fine luglio, Istat conta ufficialmente 585 mila posti in meno. Fra coloro che figurano ancora occupati, le ore di cassa integrazione sono decuplicate rispetto a un anno fa fino a raggiungere livelli quasi tre volte superiori ai record mai registrati in precedenza (nel 2010). Accanto al Covid-19 l’Italia sta vivendo una seconda epidemia, da mancanza di lavoro. Il tasso di occupazione resta il più basso dell’Unione europea dopo Portogallo e Bulgaria. Nei mesi del coronavirus la povertà non ha fatto che avanzare e le politiche pubbliche hanno risposto con i mezzi che avevano. Da gennaio il popolo dei «coinvolti» dal reddito di cittadinanza — così li chiama l’Inps, per descrivere le famiglie beneficiarie — si è allargato di seicentomila teste, a oltre tre milioni. Fra questi sono poco più di un milione gli adulti tenuti ad accettare un posto, al più tardi alla terza offerta.

Ma l’Italia è anche il Paese dei paradossi. Così Alberto Maschio, presidente dell’Associazione albergatori di Jesolo, si è ritrovato un mattino di agosto bersaglio di una campagna di odio sui social. Improperi a centinaia: «Imparate ad assumere gli italiani anziché gli stranieri»; «la schiavitù cari padroni è finita da un pezzo»; «le condizioni di lavoro nei vostri alberghi sono peggiorate in modo esponenziale e date la colpa al reddito di cittadinanza?». Gliene hanno dette di tuti i colori, fino a fargli temere un’aggressione fisica.

La sua colpa? Avere messo nero su bianco in un comunicato ciò che tanti suoi colleghi dicevano solo in privato. «C’è difficoltà a reperire personale. In tanti vengono a fare il colloquio e poi ci rispondono che preferiscono restarsene a casa, coperti da reddito di cittadinanza, bonus o altre forme di sostegno». Maschio quest’estate ha stimato una carenza del 30% delle figure professionali nel suo settore a Jesolo. «Il problema è imputabile in parte a una sorta di cultura dell’assistenzialismo che si sta creando — ha denunciato —. Stiamo pagando potenziali lavoratori per starsene a casa». Tutto il mondo dell’accoglienza in Italia ne soffre, persino in questo anno di vacche magre. LavoroTurismo è la maggiore piattaforma di manodopera nel settore e Oscar Galeazzi, il suo patron, ammette: «In questi mesi ho parlato con tantissimi potenziali addetti che hanno rifiutato per via del reddito di cittadinanza».

Non che sia poi uno strumento di una generosità smodata. L’importo pro-capite medio mensile è oggi di 561 euro, al costo di 7,8 miliardi di euro l’anno (se si confermano i livelli di agosto). Varato dal primo governo Conte, il provvedimento è stato di nuovo risucchiato nella contesa politica di recente. Tito Boeri e Pasquale Tridico si sono scontrati quando l’ex presidente dell’Inps ha detto in tv che metà dei tre milioni di persone che percepiscono il sussidio potrebbero essere evasori e l’attuale presidente lo ha accusato di «fare chiacchiere da bar»; spiazzante poi la notizia che percepissero il sostegno di Stato le famiglie dei presunti assassini di Willy Monteiro Duarte, pur facendo sfoggio di assoluto benessere nelle immagini dei social.

La verità è che resta un’ampia area grigia, attorno a questa bandiera dei Cinque Stelle. Non tanto sulla sua necessità nella lotta al disagio, più che reale, soprattutto in era Covid-19, quanto piuttosto sul suo nesso con il mondo del lavoro e le relative politiche attive, che pure ne sarebbero state all’origine parte costitutiva. Il fatto che la Guardia di Finanza abbia scovato 101 ‘ndranghetisti tra Gioia Tauro, Aspromonte e Reggino che percepivano il contributo non toglie niente al fatto che la stragrande maggioranza del milione e 300 mila famiglie beneficiarie ne abbiano veramente bisogno. Tanto che questo sussidio in poco tempo si è conquistato una sorta di egemonia culturale bipartisan.

«Lavoro non ce n’è, il clientelismo è molto forte, la politica ha sempre soddisfatto i bisogni immediati, minimi delle persone. Così io credo che ormai non si possa più tornare indietro dal reddito di cittadinanza, qui succederebbe la rivoluzione», dice Daniela De Blasio, che alle ultime comunali di Reggio Calabria si è piazzata ottava nelle liste di Forza Italia con 722 voti: «Quando dai qualcosa, toglierla qui è molto difficile». Anche più drastico Aldo Cerqua, imprenditore delle mense in provincia di Caserta dove il 13% della popolazione beneficia del sostegno. «Lavoro da dare non ne ho — taglia corto Cerqua — meno male che c’è il reddito di cittadinanza, perché ha tolto la fame dalle case».

Tuttavia, in diciotto mesi di vigenza, il programma mostra tutte le pecche legate al modo frettoloso e ingenuo in cui è stato costruito: è un’istigazione al lavoro nero, per prendere allo stesso tempo sussidio e paga sottobanco, ed è anche un’istigazione alle truffe. Il caso dei fratelli accusati dell’uccisione di Willy è troppo clamoroso per essere isolato. Eppure, l’assegno è stato revocato in tutt’Italia solo a 8.200 del milione e trecentomila famiglie beneficiarie. I controlli (spesso non draconiani) hanno svelato casi in cui la richiesta era stata fatta persino da detenuti, direttamente dal carcere (158 in Sardegna, con 548 mila euro revocati, 30 a San Severo nel Foggiano, per 200 mila euro).

Così un progetto immaginato per abolire la povertà rischia di distruggere ricchezza e produrre rancore e ingiustizia, se non viene ripensato. Un’architetta posillipina che preferisce, comprensibilmente, l’anonimato, sostiene che a Napoli «i lavori nei cantieri si fanno quasi tutti in nero o con una fatturazione minima, dall’intonaco alla pittura. I lavoratori prendono il reddito di cittadinanza come una pensione, lo mettono da parte, per un futuro di cui hanno paura. E per gli imprenditori è difficilissimo trovare lavoratori diversamente: a 800 euro, quelli se ne stanno a casa». E non solo al Sud. A Milano, l’Agenzia per la formazione e l’orientamento al lavoro (Afol) ha lanciato un progetto rivolto a un piccolo gruppo di percettori del sussidio, per formazione da meccanico, banconista e addetto alla logistica, con una chance di inserirsi nelle aziende partner: tra ragioni familiari, depressioni e assenze dell’ultimo minuto, su un centinaio di selezionati ne è spuntata una metà scarsa ridotta poi a trenta volenterosi.

A Mondragone, in Campania, è andata peggio a un piccolo imprenditore agricolo, Gennaro Bianchini, quando a primavera è venuto il momento di raccogliere gli ortaggi. Scomparsi causa Covid i braccianti dell’Europa dell’Est, Bianchini ha chiamato sette o otto compaesani. «Hanno rifiutato tutti per via del sussidio» dice, e poco importa che ora sia possibile lavorare nei campi 60 giorni senza perderne il diritto. È finita che gli sono rimasti a marcire nei campi fagiolini per 14 mila euro. Non proprio bazzecole: un quinto del fatturato annuo della sua azienda. Dice Bianchini: esattamente i soldi che mi servivano per fare investimenti».