featured image

Non si batte il virus facendo lo struzzo

La situazione attuale e come uscirne. Sottopongo alla vostra attenzione questa riflessione di Verdelli. Vale la pena di leggerla


Carlo Verdelli da Il Corriere della Sera

Il capo supremo di quelli che è solo un raffreddore, Donald Trump, è positivo, come già successo ad altri campioni del folle gioco dello struzzo, da Boris Johnson al brasiliano Bolsonaro, al bielorusso Lukashenko. Un contrappasso assolutamente casuale, che dà però la misura che l’unica vera difesa contro il coronavirus non è il censo né il rango (quello vale semmai per le possibilità di cura) ma il rispetto dei precetti per contrastarlo. Da Israele alla Francia, si moltiplicano i Paesi che stanno innestando una brusca retromarcia rispetto al ritorno alla normalità. Il milione di morti appena raggiunto nel mondo, e già superato, dovrebbe essere un monito sufficiente. Dovrebbe.

Nessuno si augura nuovi lockdown, con danni incalcolabili per la faticosissima ripartenza economica di cui ogni nazione, e specialmente la nostra, ha disperato bisogno. Ma per evitare il doppio peggio (sanitario e finanziario), per scongiurare il rischio incalcolabile di altri blocchi totali, non basta sminuire il pericolo né pregare che la coda lunghissima del male ci passi sopra risparmiandoci. Servono regole semplici e non derogabili, la determinazione nel farle rispettare, e un’obbedienza civile che si era manifestata, salvando vite e reputazione dell’Italia, nella scorsa primavera ma che adesso sembra essersi dissolta, con la stessa rapidità con cui era miracolosamente comparsa, dal commovente popolo dei balconi alla solidarietà generale per medici e infermieri in prima linea.

Va recuperata quell’obbedienza, che non è un regalo ma un dovere collettivo. E per ottenere questa collaborazione dai cittadini è indispensabile un governo che ci metta la faccia, che affronti i rischi dell’impopolarità, che scacci il fantasma sempre incombente di non dare vantaggi a un’opposizione temuta al punto da imbrigliare anche le azioni più indifferibili. Un governo che parli chiaro e con una voce sola. Un governo disposto anche a perdere consensi nei sondaggi dell’immediato pur di garantire, spiegandone le ragioni, un presente meno allarmante al proprio Paese.

Se continua così, ed è l’Istituto superiore della Sanità a certificarlo, non andrà tutto bene. Avevamo tirato un più che comprensibile respiro di sollievo quando le terapie intensive si svuotavano, i contagi calavano, il caldo dell’estate prometteva una liberazione dalla compressione da isolamento. Ma il nemico non se n’era andato. E appena si sono riaperti varchi nelle nostre trincee di protezione, troppo frettolosamente abbandonate, si è ripresentato con una evidenza che soltanto la cecità di chi si ostina a negarla può sottovalutare. E a poco valgono i distinguo sulla intensità variabile del Coronavirus (è tornato ma è meno aggressivo). I bollettini dal fronte raccontano un’altra storia, dove tutti gli indici stanno risalendo rapidamente, dai contagi ai ricoveri nelle terapie intensive, e si stanno allargando a zone più risparmiate dalla prima ondata, come Sicilia, Sardegna, Campania e Lazio. Dalla riapertura delle scuole, doverosa per carità, 124 sono state già chiuse e oltre 900 hanno problemi con la positività di alunni o insegnanti. Prevedibile, inevitabile. Contenibile però se si faranno le scelte necessarie e si applicheranno con fermezza le sanzioni per chi non rispetta, insieme alle norme, la salute di chi gli sta accanto.

Il guaio è l’insegnante di un liceo di Novara che non metteva la mascherina perché il distanziamento, secondo lei, era comunque garantito. Il guaio sono i bambini e i ragazzini che, dopo una mattina «sorvegliata» nelle aule del monobanco, il pomeriggio vanno in libera uscita ammucchiandosi nei parchi o nei campi gioco, vanificando le precauzioni del mattino con il beneplacito degli adulti che li accompagnano. Il guaio sono i leader politici che sfidano il buonsenso esibendosi a viso nudo nelle piazze o gli ardimentosi personaggi popolari che con il loro sarcasmo irrazionale soffiano sulla brace di gente confusa, spaventata dal presente, insofferente ai divieti, non informata con sufficiente chiarezza sulla gravità del pericolo. La app «Immuni», che è uno dei tanti mezzi facoltativi messi a disposizione per ripararsi dai contagi, è stata scaricata dal 15 per cento degli italiani: per diventare efficace, la percentuale dovrebbe salire al 60 per cento.

Il governo si starebbe preparando (il condizionale è purtroppo obbligatorio, con questo Conte bis pronto a dividersi in extremis su qualsiasi meta) a prorogare le misure d’emergenza fino al 31 gennaio: quattro mesi. Il ministro della Salute Roberto Speranza ha parlato di altri sette/otto mesi da affrontare con il coltello tra i denti, il che significa guardia altissima almeno fino al prossimo aprile, e di conseguenza, se il trend non s’inverte, un’ulteriore proroga è già in preventivo. La mascherina obbligatoria all’aperto, appena varata da alcune Regioni ma in ordine sparso, promette di diventare misura nazionale, insieme a un distanziamento fisico da rilanciare con rigore, il no al pubblico negli stadi, il no a qualsiasi occasione che metta troppe persone vicine, feste private comprese. In attesa del vaccino anti Covid che verrà, forse nel giugno prossimo, e di quello anti influenzale, che già dovrebbe esserci ma che al momento risulta disponibile appena per un cittadino su tre, stiamo raggiungendo i 36 mila morti. Se tutti rispettassero le precauzioni di buon senso, mascherina compresa, non ci sarebbe bisogno di tornare a stringere i bulloni di una coscienza collettiva allentata. L’obbligo del coraggio di decisioni drastiche non può aspettare né i rimedi farmacologici né improbabili conversioni di massa alle prevenzioni indispensabili.

Ha un costo, l’obbligo del coraggio responsabile. Ed è un costo elevato. Già così, a guardia abbassata, ogni settore lamenta sofferenze molto consistenti e rischio altissimo di chiusure definitive, con un prezzo sociale neanche quantificabile di perdita di posti di lavoro. Ma non è la strategia dello struzzo che ci salverà dai rinnovati focolai né che ridarà fiato a un’economia spossata. Al premier britannico Boris Johnson, che in materia di discutibile lotta al Covid provava a spiegargli che «il suo popolo non può essere costretto a obbedire in modo uniforme», il Presidente Mattarella ha risposto: «Anche noi italiani amiamo la libertà, ma abbiamo a cuore la serietà». Ecco, un Paese serio non va incontro a una possibile seconda andata di dolore confidando che passi la nottata. Un Paese serio pretende responsabilità dai suoi cittadini, e se del caso la impone. La libertà non è star sopra un albero, libertà è partecipazione (cit. Giorgio Gaber).