
Un magistrato candidato è segno di debolezza della democrazia
Michele Serra, intervistato oggi da La Repubblica (il giornale per cui scrive) dice che la candidatura a sindaco di un magistrato non è un segno di forza ma di "fragilità civica". Io sono d'accordo e vado oltre: è un vulnus grave dell'attuale sistema democratico (ovviamente il discorso riguarda la funzione non la persona, anche se non ho memoria di magistrati che siano stati buoni sindaci). Questo per una serie di ragioni. Prima: la nostra Costituzione e tutte quelle europee dalla rivoluzione francese in poi distinguono nettamente il potere legislativo da quello esecutivo e da quello giudiziario. È per me inconcepibile che uno che abbia fatto il magistrato per tutta la vita, semplicemente mettendosi in aspettativa, diventi parlamentare o sindaco. Anzi penso che un magistrato, proprio per il ruolo delicato ed essenziale che svolge, debba perdere il diritto di elettorato passivo per sempre. Può votare ma non può candidarsi ed essere eletto. In sostanza il concetto di partito (ossia di parte) cozza insanabilmente con quello di imparzialità e autonomia della magistratura. Per questo è anche assurdo che ci siano "correnti politiche" nella magistratura e negli organi di autogoverno della stessa. In secondo luogo un magistrato candidato è una sconfitta per la politica e per i partiti che non sanno più formare una classe dirigente onesta e credibile agli occhi dell'elettorato e devono "prendere in prestito" un magistrato che ha passato la sua vita, tra l'altro, a controllare e perseguire le nefandezze dei politici.