
Un mi piace equivale a un voto...ma è davvero così?
L'attuale campagna elettorale è il "trionfo" dei post di propaganda: twitter, fb, instagram ma anche tik-tok i più adoperati dai candidati. Il via è stato dato dalla carellata di post con foto nel momento in cui il candidato firmava l'accettazione. In questo caso un bel pistolotto "sull'onore e il piacere di aver accettato la candidatura" bla bla bla. Poi, ogni giorno, decine di foto selfie con questo e quello, con il sindaco di e il sostenitore tizio e caio. La domanda è: ma davvero il "mi piace digitale" produce voti? Sembra proprio di no. Ossia, se qualsiasi mezzo è buono per farsi conoscere, è anche vero che la piazza virtuale è cosa diversa dalla cabina di voto. Il like, si sa, non si nega a nessuno. Lo vediamo quando in occasione dei compleanni centinaia di persone fanno gli auguri con un bel copia incolla. Oppure in occasione di un lutto altrettanti digitano un Rip. Ma un abbraccio per farci gli auguri di buon compleanno chi ce lo fa più? E ai funerali i parenti e amici presenti sono una parte infinitesimale di tutti quelli che hanno postato il nastrino a lutto.
Lo spiego meglio con una parabola moderna. Un ragazzo chiedeva, quando doveva uscire, con un whats up i soldi al padre: "Mi lasci 20 euro sul tavolo. Me ne lasci 30...". E così per diversi giorni finchè il padre, una sera, rispose: "Certo questa volta te ne lascio 50" e postò una bella foto di una banconota. La storiella è la sintesi di decine di libri di sociologia e comunicazione (non sto qui a citarli perchè già la lunghezza di questo post vi induce sonnolenza) che dicono una cosa semplice semplice: la comunicazione digitale non sempre produce risultati con connotazioni di fisicità. Ossia anche la maggior parte della propaganda digitale non porta gente ad impugnare la matita. Meditate candidati...meditate.